Il grande salto è un libricino sottile, di quelli scritti con una prosa semplice ed immediata, e che si potrebbero leggere nel giro di qualche giorno.
Il grande salto invece non sono riuscita a leggerlo velocemente: non riuscivo a leggerne più che un capitoletto per volta o prima di andare a dormire. E' un boccone amaro, qualcosa che è davvero difficile da digerire e fa star male.
Sidi Moumen probabilmente è un nome che non dice nulla alle nostre menti, ma era un posto assolutamente sconosciuto anche ai marocchini fino al 2004: il classico posto dimenticato da Dio e dagli uomini, nati dall'altra parte del muro.
Alla periferia di Casablanca, città che ho visitato quasi 15 anni fa (e vi consiglio di leggere il post di Francesca), sorge una vera e propria città divisa dal resto del mondo da un muro vero e proprio: la città da una parte e la città-discarica dall'altra.
Per la prima metà del libro ho pensato che le periferie del mondo si assomiglino tutte quante: cambiano le temperature, ma restano le storie di povertà, di violenza bruta e ceca, di impossibilità di cambiare vita e le piccole solidarietà tra vicini che permettono di sopravvivere:
E nonostante la fame dispieghi i suoi tentacoli, serrandogli il collo fino a soffocarli, a Sidi Moumen non uccide perché la gente divide ciò che possiede. Perché misurano a vicenda la loro comune disperazione. Domani sarà il turno di uno. Dopodomani quello di un altro. La ruota gira così in fretta.Poi arrivano gli sceicchi nel quartiere e lì ho veramente faticato a prender sonno: gli sceicchi sanno come plagiare le menti di ragazzi che non hanno mai avuto nulla, ma soprattutto sanno che non avranno mai la possibilità di avere nulla.
Mi ha colpito molto che siano stati loro a fare uscire fisicamente per la prima volta i ragazzi dalla discarica, fargli vedere la "loro" città e portarli in montagna.
Il libro si conclude con l'attentatore che , giovanissimo, si fa saltare in aria in un hotel a Casablanca nel marzo 2003.
Ho letto l'intervista all'autore, Mahi Binebine, in cui racconta le minacce ricevute in seguito alla pubblicazione del libro ma soprattutto le difficoltà incontrate durante la stesura.
L'artificio di far parlare Yashin da un ipotetico aldilà, gli ha permesso di rendere meno spaventoso il suo protagonista, che in fondo non è altro che un ragazzino che sognava il calcio e che viveva nella spazzatura e ha incontrato le persone sbagliate.
Lo stesso autore spiega con quanta delicatezza sia necessario camminare sul labile confine tra il giustificare l'ingiustificabile e il racconto di quel che è stato.
Io mi sento di consigliarlo solo a chi si avvicina a questo libro preparato psicologicamente a leggere una storia molto dura e cruda.
Assolutamente inadatto a chi si fa facilmente impressionare: potrebbe togliere il sonno.
Piacerà sicuramente a chi non crede che i muri servano a renderci più sicuri.