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28 febbraio 2016

In ciabatte sull'Orinoco

Una foto pubblicata da Federica (@federica_zucca) in data:
In ciabatte sull'Orinoco è un lungo diario di un lungo viaggio tra centro e sud America con un punto di vista davvero speciale: Ugo Zamburru, l'autore, non va alla ricerca dei luoghi più turistici, ma si perde nelle periferie e nelle foreste per incontrare chi resiste ai soprusi che il nostro sistema politico-economico impone.  E' così che mi son ritrovata a San Cristobal in Messico (sì proprio quella San Cristobal dei Modena City Ramblers) con le comunità zapatiste, alla foce di grandi fiumi con comunità indigene sperdute, a fianco di minatori in rivolta e soprattutto, dal mio punto di vista, con le Madri di Plaza de Mayo in Argentina.
Oltre alle terribili storie di tortura dell'ESMA (la scuola militare che ora è diventato uno spazio di lavoro sui diritti umani), a me è piaciuta molto la parte dedicata ai reduci della guerra delle Malvinas (che il resto del mondo chiama Falkland). Sapevo ci fosse una connessione forte tra la dittatura allo sbando ed una guerra suicida per due isolotti sperduti nel Pacifico, ma non avevo mai letto nessuna testimonianza dei reduci di quella guerra: ora capisco anche il perché di quelle croci in Plaza de Mayo.

Ma, c'è una serie di ma:

  • copertina e impaginazione non sono invitanti 
  • i dati sono spesso quelli raccolti durante i viaggi sul posto, ma da quelli più vecchi son passati anche 10 anni: io li avrei aggiornati.
  • è un vero diario di viaggio: io lo avrei lavorato un po' di più per renderlo più discorsivo.
Mappa letteraria realizzata grazie all'app Cityteller

E' un libro che però può interessare chi ha voglia di conoscere maggiormente le comunità indigene e resistenti dell'America Latina: il punto di vista è dichiaratamente politico (Che Guevara è fonte di ispirazione in molte parti del libro) e può servire per approfondire il tema.

25 febbraio 2016

Dio esiste e vive a Bruxelles

Dio esiste e vive a Bruxelles ha due caratteristiche:

  • è politicamente scorretto: Dio è un frustrato che gode solo nello scrivere le leggi della sfiga universale.
  • è surreale, anche troppo
La terza, un po' più personale, è che è troppo lungo: quasi 2 ore è un tempo eccessivo per una commedia che perde di ritmo con il passare del tempo!

Dio, oltre a Gesù (per gli amici JC), ha un'altra figlia: Ea, una bimbetta sveglia che, al contrario di sua madre, si è stufata di subire le sue angherie di padre-padrone.
Ea manomette il computer del padre, comunica a tutti gli umani con un sms quanto tempo rimarrà loro esattamente da vivere e poi si mette in viaggio per conoscere gli uomini e scrivere il suo personalissimo e nuovissimo vangelo.

Non son certa nemmeno di aver capito il messaggio del film: forse che la religione dipende da chi manovra il computer e quindi decide le regole?

Se non lo avete visto non vi siete persi granché.

22 febbraio 2016

Woman in Gold

Durante uno stage lavoravo con un collega che teneva i rapporti con gli austriaci e quando tornava dalle riunioni esclamava sempre "se ci abbiamo dichiarato guerra tante volte a ste teste di ***** un motivo ci sarà".
Me l'ero scordata questa massima, ma guardando Woman in gold mi è proprio tornata in mente l' "antipatia" degli austriaci!

Il film narra la vicenda -vera- di come un famoso quadro di Klimt fosse stato rubato dai nazisti e di come l'erede -scappata negli Stati Uniti- della legittima proprietaria abbia dovuto scontrarsi con l'Austria per riaverlo indietro.

L'Adele Bloch-Bauer di Klimt per gli austriaci era un vero e proprio simbolo, esposto alla Galleria Belvedere di Vienna, era paragonato a quello che la Monna Lisa era per la Francia.... che a ben vedere pure quella ci è stata fregata [Materazzi ha fatto goal]! 

I nazisti avevano occupato Vienna e, come facevano in Germania, umiliavano gli ebrei in ogni modo e non si tiravano certo indietro quando potevano derubarli: è così che la famiglia di Maria Altman perde il ritratto della zia Adele. Addirittura per un certo periodo per nascondere il fatto che la donna ritratta fosse ebrea l'avevano ribattezzata semplicemente come La donna d'oro: dopo aver derubato la sua famiglia, erano riusciti a rubarle pure l'identità.

Raccontare una storia che si sa già fin da principio come andrà a finire (ora il quadro è esposto in una galleria di New York) senza annoiare, mantenendo un buon ritmo non è facile. Farlo con ironia è da veri maestri e l'attrice protagonista Helen Mirrer (che abbiamo già visto nei panni di Philomena e nella Regina Elisabetta) è superlativa.

Un film bello, bello, bello. Da vedere.

17 febbraio 2016

Un cinese a Buenos Aires

Un cinese a Buenos Aires ha una copertina così invitante che quando l'ho ricevuto dalla casa editrice GranVia non ho potuto resistere alla tentazione e mi ci sono subito immersa.

Le case colorate sono quelle tipiche del famoso quartiere Boca, tutte colorate, che però nel libro non c'entra nulla perché Ramiro, il protagonista argentino del libro, vivrà praticamente segregato nel quartiere cinese.

Piccola premessa: dove vivevo io a Mendoza gli immigrati per antonomasia erano le comunità boliviane -sempre abbastanza bistrattate- e c'era solo un negozio di cinesi, ma quando son andata a Buenos Aires mi son resa conto che lì la situazione era completamente diversa. Nel quartiere Palermo dove alloggiavo (e consiglio l'Ecopampa Hostel doveste andarci) tutti gli almacen, un equivalente dei nostri negozietti di quartiere, erano in mano a cinesi.
Ecco perché Ariel Magnus, l'autore, sente la necessità di indagare e scoprire quella che per antonomasia crediamo sia la comunità immigrata più chiusa in assoluto: se infatti il libro è ambientato a Buenos Aires per certi versi potrebbe essere il quartiere cinese di qualsiasi altra grande città del mondo. Devo ammettere che però vedere un argentino che si confronta con i cinesi mi ha fatto molto ridere.

La trama è abbastanza semplice: il nostro Ramiro è un giovane abbastanza grigio ed incolore che viene rapito dal cinese contro cui ha testimoniato e trascinato nel quartiere cinese, dove non gli verrà torto un capello.
Con Ramiro impareremo a conoscere alcuni aspetti della cultura cinese su cui anche noi abbiamo pregiudizi: la cucina cinese all'estero è un'altra cosa da quella davvero-cinese (così come avevo già letto anche nella "guida" di Pechino di Culicchia) al punto che nessun ristorante cinese americano assumerebbe un cuoco davvero-cinese, le ragazze cinesi son fatte come noi e scopriremo che anche i cinesi muoiono.

Un cinese a Buenos Aires è un libro che ci aiuta a capire i danni che fanno i pregiudizi: Li, il cinese che ha rapito Ramiro, è stato condannato per essere il piromane che per conto della mafia cinese sta incendiando molti negozi nella capitale. D'altra parte che ci faceva un cinese in piena notte nei pressi di un negozio in fiamme in bicicletta con una pietra e dei cerini addosso?
La verità è che quello che per una cultura è palese causa e conseguenza, per un'altra è causa e conseguenza di tutt'altra cosa: Ramiro dovrà aiutare Li a scagionarsi... ce la farà?

Se ripenso a tutta la storia mi sento perplesso, anche un po' indignato, non capisco perché ci sia bisogno di tutte queste coincidenze per raggiungere la felicità.
 - Hai mai pensato che noi non ci saremmo mai dovuti incontrare?

15 febbraio 2016

SanRemo è finito

Non mi son resa conto di quanto la mia passione per il Festival fosse palese fino all'anno in cui son partita  per l'Argentina: le persone non mi chiedevano quando sarei partita esattamente, ma se riuscivo a vedere Sanremo.

E anche quest'anno è finita! Dopo una settimana di Festival io ora sono più esausta e fusa di uno sveglissimo -e sempre sul pezzo- Garko.


Datemi ancora qualche giorno per riattivarmi dopo le maratone televisive infinite e la preparazione della solita, ma sempre diversa, festa a tema. Quest'anno il tema è stato San Remo l'unico Santo televisivo, con tanto di giochi e menù a tema.
Avrei voluto fare qualche foto, ma non ce l'ho fatta.
Mi son goduta la serata, gli amici, le canzoni... e soprattutto la vittoria per aver azzeccato al triade vincente!

E comunque son molto soddisfatta (e commossa) per la vittoria degli Stadio.


10 febbraio 2016

La sorella cattiva

La sorella cattiva è un bel libro, di quelli che ti conquistano fin dalla copertina: un gioco di ombre, che non si capisce quanto ci sia di giocoso e quanto di oscuro, con quel vezzo dello smalto rosso.
Una foto pubblicata da Federica (@federica_zucca) in data:
E' una di quelle letture che ti stupiscono e ti costringono a farti mille domande perché, come la protagonista Maria Cristina, anche questa storia ha mille sfumature.
Chi è che racconta la storia di Maria Cristina? Come fa a sapere tutte quelle cose?
Ma chi è 'sta Maria Cristina? E' davvero una ragazzina sprovveduta che appena ne ha avuto l'opportunità è scappata da un paesello sperduto nei boschi piovosi canadesi (e da una famiglia di pazzi) per fare la scrittrice a Santa Monica, dove invece c'è sempre il sole e ci sono tante opportunità?
Giuro che non lo sapevo che uno dei personaggi principali, l'amante di Maria Cristina, sarebbe stato uno scrittore argentino in esilio: questa Argentina mi perseguita - ma io mica me ne dispiaccio!

La storia si snoda sulle due città: da una parte a Laperouse, sperduto centro che quasi non si trova sulle mappe e dove le donne non si depilano le gambe, c'è la casa rosa culo dove vive con la sua famiglia: una serie di rapporti complicati con una madre fuori di testa, un padre depresso ed una sorella impazzita, anche per via di Maria Cristina.
A Santa Monica c'è invece l'opportunità di peccare, crescere, fare la scrittrice raccontando quasi tutta la sua verità.
E poi c'è il ritorno annunciato quanto improvviso a Laperouse, per andare a prendersi un nipotino di cui neanche conosceva l'esistenza.

La storia di Maria Cristina, la sorella cattiva, piacerà tantissimo a chi vuole leggere la storia di un viaggio verso la libertà e delle mille bugie che si celano -e ci celiamo- dietro questa parola.

Qui la mia recensione per il RecensioniLibri,

Ci sono sempre momenti in cui slacci le corde che avevi legate ai polsi, le corde lasciano segni e bruciature e li lasceranno a lungo, segni e bruciature, ma che piacere potersi guardare i polsi, farlo più volte al giorno e vedere solo il segno delle corde e non più le corde stesse.

03 febbraio 2016

El bosque tallado di El Bolson

I buoni propositi per il 2016 non li ho fatti, me li sono risparmiati, come tutti gli anni, sapendo che tanto non ci tengo mai fede. Ed è un errore: i buoni propositi non sono mete, sono indicazioni per sapere dove vorresti andare. 

Io per questo primo mese dell’anno (in questo momento sono molto indulgente con me stessa) mi son mossa a casaccio: mi son fatta le domande giuste, mi son date le giuste risposte e poi ho avuto paura, consapevole di aver paura, di fare quello che dovevo.  
Una cogliona praticamente. Che strano garbuglio di pensieri che sono.

Poi stamattina ho avuto l’illuminazione: da qualche giorno sul desktop del mio computer c’è questa foto, fatta lo scorso anno a El Bolson (nord Patagonia, un paio d’ore a sud di Bariloche). L’ho scelta semplicemente perché è una bella foto di un bel posto, nonostante non sia stata fatta in uno dei posti più indimenticabili che abbia visitato.

  
Dal Bolson una delle escursioni più proposte è al Bosque tallado, una specie di museo a cielo aperto (in cui tra l’altro si paga l’entrata) e per arrivare devi prendere un taxi o un’escursione organizzata e camminare per un’ora buona in salitissima.


Alla fine degli anni ’70 un incendio ha distrutto un intero bosco: quello degli incendi è un gran casino in Patagonia. Sai com’è, gli argentini hanno l’abitudine di fare alla brace anche le suole delle scarpe e c’è un vento che ti porta via… motivo per cui nei parchi non si può mai accendere un fuoco!

Le possibilità per la comunità erano semplici:
-          Piantare nuovi alberi: ma piantare nuovi alberi vuol dire mettere la mano dell’uomo nuovamente negli affari della natura. E qui a El Bolson c’è una grandissima comunità hippy e quindi hanno pensato, anche giustamente, che sarebbe stata la Terra, con i suoi tempi, a ritornare verde.
-          Lasciare tutto così com’è: cosa che hanno fatto fino agli anni ’90.
-          Valorizzare l’area.

Si decide quindi che quell’area sarà un museo a cielo aperto, che i resti dei tronchi bruciati verranno utilizzati per intagliare statue e creare un percorso non nel bosco bruciato, ma nel bosco che cambia.
Le statue sono ovviamente tutte di legno, ogni anno con un concorso vengono scelti degli artisti che ne faranno di nuove e quelle più vecchie le si riconosce perché sono “rovinate” dagli agenti atmosferici.

E io ora tutte le mattine quando accenderò il mio computer (che equivale a poco dopo che avrò aperto gli occhi) voglio essere un bosco intagliato: voglio far crescere cose belle, là dove mi sono bruciata.


Ovviamente con la consapevolezza che questo è un buon proposito e come tale non ci darò sempre retta, non sarà facile. Ma me lo sono scritta, prima che per parlare a voi di un bel posto, per ricordarmi chi sono e quo vado, come dice il mio amico Checco

02 febbraio 2016

8 ciliegie

Buon compleanno, mio piccolo blog.

In questi 8 anni (e un giorno) siamo cambiati e cresciuti entrambi: e né io né te siamo diventati ricchi e famosi, mannaggia.
Ci siamo presi cura l'uno dell'altra, abbiamo viaggiato là dove 8 anni fa mai avremmo pensato, abbiamo letto e visto film indimenticabili ed altri di cui faccio fatica a pensare di averli scritti proprio io quei post. Abbiamo fatto lunghe riflessioni e scritto cretinate. Abbiamo conosciuti altri blogger, ex blogger e amici e parenti di queste strane "bestioline". Abbiamo riso, pianto, vinto, perso, Abbiamo vissuto.

Fonte web
La cosa bella però è che nell'animo siamo rimasti gli stessi, il nostro nocciolino è sempre uguale: è un cuore appassionato per tutto quello che fa ed uno sguardo  nascosto tra i rami di un ciliegio.
E di questo sono orgogliosa.